Dall’11 maggio al 24 novembre Venezia ospiterà la Biennale d’arte, una delle più importanti esposizioni d’arte contemporanea di tutto il mondo, che si tiene ogni due anni. Questa edizione, la 58esima, è curata dallo statunitense Ralph Rugoff, direttore della Hayward Gallery di Londra, e si intitola May You Live In Interesting Times: il titolo viene da un detto inglese erroneamente riferito a una maledizione cinese che augurava al nemico di vivere in tempi incerti, di crisi e disordini: “interessanti”, quindi, come i nostri. Non c’è quindi un tema unificatore ma il motto è un invito ad affrontare il presente: le tragedie dei migranti, le nuove ineguaglianze, il cambiamento climatico, il razzismo, la violenza dei regimi.
Rugoff ha ridotto il numero degli artisti (da 120 dell’edizione del 2017 agli attuali 79) e dei paesi partecipanti (38 anziché 51); per la prima volta metà degli artisti sono donne e hanno meno di 40 anni; quasi tutte le opere sono state realizzate dopo il 2010 e molte non sono mai state esposte, cosa che rende la rassegna più contemporanea del solito.

Faniswa, Sea Point, Cape Town, 2016 dell’artista sudafricana Zanele Muholi all’Arsenale, Biennale, 8 maggio 2019
(Tiziana FABI / AFP / LaPresse)
Le sedi espositive, come ogni anno, sono due: i Giardini e l’Arsenale. I Giardini, che furono la sede della prima Biennale del 1895, ospitano il Padiglione Centrale curato da Rugoff e i 29 padiglioni più antichi, come il Regno Unito, la Francia e la Germania. Nell’Arsenale, che ha uno spazio espositivo di 50 mila metri quadrati, ci sono altri padiglioni internazionali, parte della mostra internazionale curata da Rugoff e il Padiglione Italia, che si trova alle Tese delle vergini ed è curato da Milovan Farronato, direttore del Fiorucci Art Trust, un importante centro di produzione artistica londinese. Ci sono infine 21 eventi collaterali ospitati in chiese, palazzi, conventi e magazzini (li trovate qui) e molte altre rassegne che non fanno capo alla Biennale ma sono state organizzate per l’occasione (tra tutte: la retrospettiva su Jannis Kounellis a cura di Germano Celant alla Fondazione Prada e quella di Georg Baselitz nelle Gallerie dell’Accademia,
l’installazione di Fornasetti al Fondaco dei Tedeschi e la mostra della fotografa di Dior Brigitte Niedermair a Palazzo Mocenigo).
La mostra internazionale curata da Rugoff è divisa in due parti: Proposizione A, nell’Arsenale, e Proposizione B, nel Padiglione Centrale. Ognuna sottolinea aspetti diversi – in particolare, l’Arsenale raccoglie opere più grandi e monumentali – e molti artisti sono presenti in entrambe. Rugoff ha raccontato di essersi ispirato al libro di Umberto Eco, Opera Aperta, del 1962, perché «porta l’attenzione sulla capacità dell’arte di ispirare nuovi modi di guardare e di comportarsi». Il risultato, nonostante o grazie a un tema così vasto e indefinito, è generalmente piaciuto molto: la critica d’arte del Guardian Laura Cumming ha definito la mostra internazionale curata da Rugoff «il più potente ritratto dell’arte contemporanea da anni». Rugoff ha specificato che, anche se i grossi temi del nostro tempo sono al centro del lavoro degli artisti, «l’arte è più di un documento del suo tempo» e che quindi «non esiste una narrativa o una tematica a tutto campo». Jennifer Higgie, dell’autorevole rivista d’arte Frieze, ha scritto che «è una doppia benedizione: nella migliore delle ipotesi consente alle idee di esprimersi nello spazio del loro farsi; nella peggiore, l’espressione è cacofonica».
La mostra internazionale è affiancata dalle partecipazioni nazionali, cioè i Padiglioni curati da ogni singolo paese, in tutto 90. Quattro paesi – Ghana, Madagascar, Malesia e Pakistan – partecipano per la prima volta, mentre la Repubblica Dominicana era già stata presente ma mai con un proprio padiglione. All’ultimo momento il governo dell’Algeria e del Kazakistan hanno annullato la loro partecipazione, mentre a causa delle vicissitudini politiche degli ultimi tempi, il Padiglione del Venezuela, curato da Carlo Scarpa, non è stato ancora allestito.
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